Tricomicosi ascellare e genitale e infezione da Corynebacterium

a cura del dermatologo Dott. Del Sorbo
riceve a SALERNO

La tricomicosi ascellare è un’infezione dei peli delle ascelle e dei genitali associata alla proliferazione del Corynebacterium flavescens

La tricomicosi è un’infezione superficiale dei peli e può localizzarsi alle ascelle (tricomicosi ascellare) o ai genitali (tricomicosi pubica). È di frequente riscontro in dermatologia ed è solitamente asintomatica. Essendo associata all’aumentata attività di alcuni batteri (in particolare il Corynebacterium flavescens, noto in passato come Corynebacterium tenuis) sarebbe più appropriato indicare la tricomicosi ascellare con l’espressione tricobatteriosi ascellare (trichobacteriosis axillaris), e non tricomicosi (trichomycosis axillaris), in quanto la presenza dei comuni miceti cutanei (micobiota cutaneo) non svolge un ruolo determinante nella genesi dell’infezione. La tricomicosi è molto frequente ai peli ascellari, ma è possibile osservarla in qualsiasi altro distretto pilifero (per esempio sopracciglia, barba, pube, scroto, vulva, solco intergluteo). La tricomicosi si manifesta con un accumulo di batteri sulla cuticola del fusto dei peli visibili anche a occhio nudo sotto forma di piccoli grappoli giallastri di circa 1 millimetro di diametro. Fattori locali come la sudorazione apocrina acida o abbondante e la cattiva igiene, stravolgono l’equilibrio del microbiota cutaneo causando un’eccessiva proliferazione di batteri.

Nella tricomicosi ascellare i grappoli di corinebatteri intorno ai fusti piliferi conferiscono ai peli un tipico aspetto a cera bagnata, con peli che appaiono unti, granulosi, appiccicosi, ruvidi e ispessiti.

La tricomicosi può essere considerata una vera e propria disbiosi della pelle

Da questo punto di vista la tricomicosi può essere considerata una disbiosi cutanea. Sia la tricomicosi ascellare che genitale è più frequente nei giovani di sesso maschile, in quanto nel sesso femminile la depilazione di ascelle e inguine rende meno facile il ristagno di sudore apocrino acido e la conseguente proliferazione di corinebatteri. Tra l’altro i corinebatteri producono cataboliti responsabili del cattivo odore della pelle (bromidrosi) e di un sudore talora colorato che può a volte persino macchiare gli indumenti intimi (cromidrosi). Infatti i piccoli ammassi di corinebatteri appaiono a spesso giallastri (trichomycosis flava), altre volte di colore arancio o rossiccio (trichomycosis rubra), e più raramente di colorito scuro (trichomycosis nigra). La tricomicosi è considerata una malattia della pelle superficiale in quanto i grappoli di corinebatteri si dispongono lungo il fusto pilifero senza tuttavia interessare i follicoli piliferi né i tessuti sottostanti. I piccoli grappoli di corinebatteri si legano ai peli ricoperti di sudore apocrino rappreso, formando con il tempo una guaina lipidica facilmente asportabile, di consistenza morbida e appiccicosa avvolgente i peli, che appaiono pertanto quasi incollati tra loro. La sostanza adesiva che incolla i batteri alla cuticola dei peli è prodotta sia dai batteri che dalle ghiandole sudoripare apocrine. L’acido lattico prodotto dai corinebatteri acidifica ulteriormente il microambiente, con peggioramento del quadro clinico. In dermatologia pediatrica la tricomicosi è di rara osservazione in quanto l’attività delle ghiandole sudoripare apocrine raggiunge la massima funzionalità nell’adolescenza. Tuttavia in letteratura è stato riportato un caso di tricomicosi del cuoio capelluto (trichomycosis capitis) in un bambino di 6 mesi.

Curiosità: i peli ascellari si chiamano hirci a causa del tipico odore di capra del sudore apocrino

In teoria qualsiasi distretto pilifero può essere interessato, anche se gli hirci ascellari rappresentano la sede più frequente, sia per la conformazione della piega ascellare, che predispone a un ambiente occlusivo caldo umido, sia per la prevalenza in questo distretto di sudore apocrino. Sul corpo la peluria prende un nome diverso a seconda del distretto corporeo che consideriamo (per esempio i baffi e la barba sul volto, i capelli sul cuoio capelluto, le vibrisse nel naso, le ciglia e le sopracciglia intorno agli occhi, i tragi sull’orecchio, gli hirci all’ascella e i pubes ai genitali). I peli delle ascelle si chiamano hirci o subhirci per il cattivo odore del sudore normalmente prodotto dalle ghiandole apocrine, odore simile a quello degli hirci cioè dei caproni. In alcuni pazienti con iperidrosi ascellare e plantare è possibile riscontrare contemporaneamente sia una tricomicosi ascellare che una cheratolisi punctata, entrambe associate alla proliferazione eccessiva di alcuni batteri normalmente presenti sulla pelle, soprattutto il Corynebacterium flavescens per la tricomicosi e il Corynebacterium minutissimum nel caso della cheratolisi puntata. Patologie infiammatorie a carico delle grandi pieghe come ad esempio l’idrosadenite suppurativa, la psoriasi inversa, l’eczema da contatto, l’eritrasma e altre forme di intertrigine possono creare un ambiente favorevole alla proliferazione del Corynebacterium flavescens con la conseguente formazione di una tricomicosi.

Le cause della tricomicosi ascellare

Diverse specie di corinebatteri fanno parte del normale microbiota umano. Sudorazione eccessiva, obesità, cattiva igiene e clima caldo umido possono talora predisporre a tale situazione. I corinebatteri sono normalmente presenti su cute e mucose di chiunque, soprattutto al cavo orale e nelle pieghe cutanee (per esempio inguine, ascelle, piedi). Sono piccoli bacilli gram positivi grandi circa 1 micron, e hanno la forma di bastoncelli con un’estremità rigonfia simile a una clava (Corynebacterium deriva dal greco κορύνη = clava). Al microscopio ottico i corinebatteri sono facilmente riconoscibili perché si dispongono a palizzata. La colorazione con idrossido di potassio al 10% conferisce ai grappoli di corinebatteri una tipica colorazione bluastra. In coltura invece le colonie appaiono di un intenso color arancio per la produzione di pigmenti carotenoidi. Attraverso la dermatoscopia si possono meglio evidenziare al momento della visita dermatologica i caratteristici noduli cerosi giallastri aderenti ai peli, che conferiscono a questi un aspetto simile a uno spiedino o a una corona di rosario. A differenza di altre patologie apparentemente simili, all’epiluinescenza i piccoli ammassi di batteri della tricomicosi appaiono trasparenti, cristallini, e da qui il nome del pattern dermatoscopico a rosario di pietre cristalline che si osserva in corso di tricomicosi. Dal momento che nella genesi della tricomicosi sono coinvolte contemporaneamente diverse specie di corinebatteri, alla lampada di Wood possiamo talora osservare una fluorescenza giallastra, mentre altre volte una fluorescenza arancione o bluastra, a seconda del tipo di porfirine prodotte dai batteri in eccesso. La tricomicosi può associarsi a una sudorazione abbondante (iperidrosi), a sudore colorato (cromidrosi) e a cattivo odore (bromidrosi). La tricomicosi pubica (trichomycosis pubis) va in diagnosi differenziale con diverse altre dermatosi, tra cui la pediculosi del pube (piattole), la tricomicosi nodulare (piedra), il moniletfrix e la tricoressi nodosa.

Quando sono interessati i peli pubici oltre alla tricomicosi genitale (in alto) occorre ricercare anche eventuali piattole (in basso) ed escludere una pediculosi del pube (ftiriasi)

La tricomicosi cutanea nella storia della dermatologia

Una prima descrizione della tricomicosi risale al lontano 1852, con il medico inglese Samuel Wilks. Il termine tricomicosi (da θρίξ = pelo e μύκης = fungo) fu invece coniato nel 1869 dal medico inglese Francis Valentine Paxton, che l’attribuì a una micosi cutanea, in particolare a un’infezione da Trichophyton tonsurans. Successivamente il dermatologo inglese William James Erasmus Wilson la chiamò Leptothrix. Nel 1875 il dermatologo ceco Filipp Josef Pick la chiamò tricomicosi palmellina, nome ispirato dal colore rosso dell’alga di acqua dolce Palmella cruenta simile al colore del sudore osservato nelle persone affette da una variante poco frequente di tricomicosi, nota come tricomicosi ascellare rubra. Nel 1889 il medico irlandese Robert Glasgow Patteson la chiamò tricomicosi nodosa. Nel 1890 il dermatologo tedesco Gustav Behrend osservò questo quadro soprattutto nei Paesi tropicali e la denominò Tricosporosi tropicale, ipotizzando un’infezione da Trichosporum giganteum. Nel 1911 il patologo fiorentino Aldo Castellani descrisse tre diverse varianti cliniche di tricomicosi: una tricomicosi flava (di colore giallo), una tricomicosi rubra (di colore rosso o arancio), una tricomicosi nigra (di colore scuro) e ne attribuì le causa a un fungo chiamato Nocardia tenuis. La variante meno frequente delle tre, la tricomicosi nigra, fu attribuita da Castellani alla presenza del Cryptococcus metaniger (in seguito denominato Micrococcus nigrescens castellanii). La tricomicosi rubra fu invece attribuita da Castellani al Cryptococcus Rubrougosus (nel 1913 fu chiamato Micrococcus rhodocoecus castellanii da Albert Chalmers e Capitain O’ Farrell, che chiamarono a loro volta la patologia triconocardiasi). Nel 1927 Castellani comprese che la tricomicosi era legata alla presenza non di miceti ma di batteri, che chiamò Cohnistreptothrix tenuis. Nel 1952 i dermatologi americani John Crissey, Gerbert Rebell e John Laskas identificarono un corinebatterio normalmente innocuo e lo chiamarono Corynebacterium tenuis, per differenziarlo da altri difteroidi patogeni come ad esempio il Corynebacterium diphtheriae, associato alla ben più importante difterite. La tricomicosi flava è di più frequente osservazione, mentre sono molto rare la variante rubra e nigra. Nel 1963 i dermatologi americani Najib Shehadeh e Albert Montgomery Kligman suggerirono che i corinebatteri isolati dal cavo ascellare dei pazienti con tricomicosi fossero già normalmente presenti nel nella popolazione sana, anticipando di circa mezzo secolo il concetto attuale di microbiota cutaneo. Il Corynebacterium flavescens è stato denominato in diversi modi nel corso della storia. Nel 1919 il biochimico svedese Sigurd Orla Jensen utilizzò il nome di Microbacterium flavum. Nel 1934 Herbert Jensen lo riclassificò come Mycobacterium flavum. Nell’estate del 1979 i microbiologi Lane Barksdale, Marie Antoinette Lanéelle, Marjorie Pollice, Jean Asselineau, Michèle Welby e Michael Norgard riclassificarono il Microbacterium flavum con l’attuale nome di Corynebacterium flavescens, mentre l’espressione Corynebacterium tenuis è ormai considerata obsoleta. Per descrivere la tricomicosi sono stati utilizzati tantissimi sinonimi nella storia della dermatologia tra cui tricomicosi palmellina di Pick, tricosporosi di Behrend, triconocardosi di Chalmers e O’ Farrell, tricomicosi nodosa di Patteson, cromotricomicosi di Rudolph, leptothrix di Wilson, tricomicosi fusca di MacFie, malattia di Paxton.

Cosa fare in presenza di tricomicosi ascellare

Nel sospetto di una tricomicosi ascellare è importante consultare il proprio dermatologo di riferimento per giungere a una diagnosi certa, sulla base della quale iniziare una terapia farmacologica mirata. Quando confermata la diagnosi di tricomicosi è importante prestare attenzione alla detersione cutanea, privilegiando quando possibile prodotti delicati privi di parabeni e altri eccipienti sensibilizzanti. La rasatura dei peli ascellari può essere un modo valido per evitare il ristagno di sudore apocrino intorno ai peli, e in questo modo è possibile prevenire future recidive. La pelle va tenuta asciutta evitando di applicare grandi quantità di creme, deodoranti e antitraspiranti. L’uso in dermatologia di blandi antisettici (per esempio sapone allo zolfo, detergenti alla clorexidina) solitamente risolve in poco tempo il quadro clinico. A seconda della gravità del problema, il dermatologo può considerare al momento della visita medica un eventuale ricorso a all’uso di farmaci topici (per esempio clindamicina, eritromicina, acido fusidico, imidazolici, benzoilperossido) limitatamente a quelle forme più resistenti o recidivanti di tricomicosi.