Papulosi bowenoide genitale da Papillomavirus

a cura del dermatologo Dott. Del Sorbo
riceve a SALERNO

Papulosi bowenoide

La papulosi bowenoide è una malattia a trasmissione sessuale che può manifestarsi sia nell’uomo che nella donna sotto forma di papule piane pigmentate localizzate ai genitali esterni, in particolare sul pene, sul glande, prepuzio, allo scroto, alla vulva, al clitoride, alla vagina e alla regione anale. Le papule possono essere isolate o confluenti e hanno solitamente un diametro variabile tra i 3 e i 10 mm. Clinicamente la papulosi bowenoide è simile ai comuni condilomi, mentre il quadro istologico è più vicino a quello di un carcinoma squamocellulare in situ tipo Bowen. Infatti la papulosi bowenoide genitale può essere considerata una precancerosi, ovvero una fase di transizione non obbligata tra i comuni condilomi e il carcinoma squamocellulare in situ (GIN = Genital Intraepithelial Neoplasia). Nella donna la papulosi bowenoide è una variante clinica della VIN (Vulvar Intraepithelial Neoplasia) e anche nell’uomo viene descritta con l’acronimo PIN (Penile Intraepithelial Neoplasia), ma la papulosi bowenoide è considerata una patologia benigna e transitoria, mentre l’evoluzione in carcinoma squamoso avviene in meno dell’1% dei casi, soprattutto in persone immunocompromesse, come ad esempio nelle persone con AIDS. Le papule sono solitamente multiple, multicentriche e di colore variabile dal marrone al violaceo, e possono talora confluire in placche pigmentate. La superficie può essere liscia o verrucosa.

Papulosi bowenoide genitale con macule e papule pigmentate alla base del pene

La papulosi bowenoide è contagiosa?

La papulosi bowenoide è più frequente sulla cute del pene e della vulva, ma può talora manifestarsi anche in altri distretti corporei come ad esempio il cavo orale, la mammella, le pieghe inguinali e la regione anale, sede quest’ultima, in cui è nota come neoplasia intraepiteliale anale o AIN (Anal Intraepithelial Neoplasia). La papulosi bowenoide è più frequente nella fascia di età sessualmente attiva, ma non si trasmette solo attraverso i rapporti sessuali, essendo stata descritta in tutte le fasce di età, dall’età pediatrica all’età geriatrica. La papulosi bowenoide rientra tra le malattie veneree perché se la patologia è presente in una persona può essere trasmessa al partner attraverso i rapporti sessuali. Ma la modalità di trasmissione non avviene unicamente per via sessuale. Nelle persone con infiammazione cronica dei genitali esterni, come ad esempio in presenza di balanite, vulvite, lichen sclerosus genitale essa è più frequente.

Papulosi bowenoide del pube

La papulosi bowenoide è di frequente osservazione in dermatologia genitale. Al suo esordio la papulosi bowenoide può essere scarsamente pigmentata, con papule rosa che vanno differenziate dai condilomi piani della sifilide secondaria, ma anche dai condilomi acuminati, dalla psoriasi genitale e dalla balanite seborroica. La papulosi bowenoide può essere recidivante, nel senso che a volte può ripresentarsi malgrado la terapia appropriata.

Diagnosi differenziale tra condilomi anali (nella foto) e papulosi bowenoide

Test HPV (Human Papilloma Virus)

La papulosi bowenoide può a volte associarsi alla presenza di alcuni virus HPV (Human Papilloma Virus), una superfamiglia di Papillomavirus di cui attualmente sono noti almeno 225 ceppi, alcuni dei quali associati alle verruche plantari, altri ancora associati alle verruche piane, alle cheratosi attiniche e ai condilomi genitali. I ceppi maggiormente riscontrati in presenza di papulosi bowenoide sono i sottotipi HPV16 e HPV18, ma in letteratura sono state riportate associazioni anche con altri sottotipi, tra cui HPV31, HPV33, HPV34, HPV35, HPV39, HPV42, HPV48, HPV51, HPV52, HPV53, HPV54, HPV55, HPV56, HPV67 e HPV69. Il test HPV per la ricerca dei ceppi di Papilloma virus può essere utile a ricercare il DNA di eventuali HPV ad alto rischio, metodica anche nota con il nome di genotipizzazione HPV. Esistono diversi tipi di test HPV e alcuni di essi sfruttano il principio della chemioluminescenza, mentre altri ancora l’ibridazione molecolare su piastra. L’HPV test PCR ad esempio, è in grado di rilevare il DNA virale attraverso la reazione a catena della polimerasi.

Differenza tra condilomi e papulosi bowenoide

Esame istologico

All’esame istologico la papulosi bowenoide presenta un pattern microscopico chiamato displasia bowenoide, caratterizzato a livello epidermico da cheratinociti discheratosici con mitosi e atipie nucleari, acantosi basaloide, paracheratosi, ipergranulosi e pseudo coilocitosi. La membrana basale appare integra mentre nel derma papillare si manifesta un generico infiltrato linfocitario perivascolare. L’immunoistochimica per la proteina p16 può essere talora utile nella papulosi bowenoide data la possibile associazione. La colorazione con un anticorpo contro la proteina p16 ha infatti un’elevata specificità e sensibilità per rilevare questa malattia. La biopsia effettuata su papule pigmentate o di vecchia data emerge spesso un’iperattività dei melanociti, e la melanina prodotta è riscontrabile talora persino nel citoplasma dei cheratinociti atipici. La malattia di Bowen pigmentata è considerata una variante clinica del carcinoma squamocellulare in situ e rappresenta meno del 2% dei casi di malattia di Bowen. A livello istologico la sigla SIL (Squamous Intraepithelial Lesion) indica una lesione intraepiteliale squamosa, e può essere di basso grado (LSIL = Low grade Squamous Intraepithelial Lesion) o di alto grado (HSIL = High grade Squamous Intraepithelial Lesion).

Papulosi bowenoide genitale con macule e papule pigmentate

Penoscopia e vulvoscopia

Al momento della visita dermatologica, la papulosi bowenoide presenta sia alla penoscopia che alla vulvoscopia una superficie micropapillare più o meno pigmentata. Sul bordo delle lesioni è possibile osservare dei punti grigio marroni, mentre al centro prevale un pattern vascolare punteggiato, visibile anche nei condilomi acuminati, nelle verruche volgari e nelle verruche plantari. La genitoscopia (penoscopia o vulvoscopia a seconda dei casi) è una metodica rapida e non invasiva a disposizione del venereologo per agevolare la diagnosi differenziale tra la papulosi bowenoide e altre situazioni apparentemente simili, alcune delle quali fisiologiche (per esempio grani di Fordyce, papule perlacee, cheratosi seborroiche) e altre patologiche (per esempio condilomi, mollusco contagioso).

Grani di Fordyce osservati mediante penoscopia

Decorso clinico

La neoplasia intraepiteliale genitale è considerata una precancerosi, e in particolare un precursore del carcinoma squamocellulare genitale. In questo contesto rientrano la malattia di Bowen genitale, l’eritroplasia di Queyrat e la papulosi bowenoide. Eritroplasia di Queyrat, malattia di Bowen genitale e papulosi bowenoide possono dunque essere considerate 3 varianti cliniche diverse del carcinoma genitale in situ. Rispetto al morbo di Bowen e all’eritroplasia di Queyrat, la papulosi bowenoide ha però un decorso benigno e solo raramente può evolvere in carcinoma squamocellulare. La regressione spontanea è un evento possibile e un po’ più frequente sia in gravidanza che in menopausa. La papulosi bowenoide è intesa pertanto come una variante clinica di PIN, VIN e AIN.

Differenza tra condilomi e papulosi bowenoide

Diagnosi differenziale

La diagnosi di papulosi bowenoide è innanzitutto clinica. Penoscopia, vulvoscopia, HPV-test ed esame istologico possono confermare o escludere il sospetto diagnostico. Al momento della visita venereologica la papulosi bowenoide viene distinta da altre manifestazioni cutanee apparentemente simili, tra cui il nevo di Unna, il nevo di Spitz, i condilomi acuminati, i condilomi piani della sifilide, la balanite psoriasica, la balanite irritativa, la balanite diabetica, la balanite seborroica di Neumann, il lichen planus, il granuloma anulare, gli angiocheratomi di Fordyce, il mollusco contagioso, la cheratosi attinica pigmentata, la cheratosi seborroica, la porocheratosi di Mibelli, i fibromi penduli, la follicolite, l’eritrasma, l’acanthosis nigricans, il basalioma pigmentato, il cheratoacantoma, il poroma eccrino pigmentato, la leucoplachia genitale, la balanite di Zoon, la cheratosi lichenoide, gli angiomi rubini, il nevo blu, il melanoma, il tumore di Buschke Löwenstein (condilomatosi gigante), la papillomatosi orale florida e l’epitelioma cuniculato della regione plantare.

Nel lichen planus del pene le papule sono violacee, pruriginose, pianeggianti e di forma poligonale

La papulosi bowenoide attraverso la Storia della Dermatologia

La papulosi bowenoide fu descritta nel 1977 dai dermatologi americani Alfred Kopf e Robert Bart. Già nel 1970 il dermatologo americano Kenneth Lloyd descrisse questo quadro clinico con il nome di malattia di Bowen pigmentata multicentrica. Il quadro clinico oggi noto come malattia di Bowen fu già descritto nel 1912 dal dermatologo americano John Templeton Bowen. Il 20 gennaio 1978 i dermatologi americani Harry Irving Katz, Zoltan Posalaky e Dennis McGinley pubblicarono uno studio sulla possibile evoluzione della papulosi bowenoide in carcinoma in situ tipo Bowen. Nello stesso anno i dermatologi americani Thomas Wade, Alfred Kopf e Bernard Ackerman proposero l’associazione tra infezione da HPV Papillomavirus e papulosi bowenoide del pene, analogamente a quanto accade per i condilomi genitali. L’associazione tra HPV e papulosi bowenoide fu in seguito dimostrata con la microscopia elettronica, in quanto in precedenza si pensava che la papulosi bowenoide fosse associata al virus herpes simplex HSV-1 dell’herpes labiale o al virus herpes simplex HSV-2 dell’herpes genitale. Nel 1981 il dermatologo inglese Tony Burns descrisse un caso di malattia di Bowen pigmentata localizzata agli spazi interdigitali dei piedi. Nel 1983 i ricercatori tedeschi Hans Ikenberg, Lutz Gissmann, Gerd Gross, Elke Ingrid Grussendorf Conen e Harald Zur Hausen isolarono dalla papulosi bowenoide il DNA del virus HPV16, grazie alla tecnica del Southern blotting, una metodologia impiegata in biologia molecolare per rilevare la presenza di specifiche sequenze di DNA da una miscela complessa. Nel 1984 il dermatologo americano Robert Bart descrisse un caso di papulosi bowenoide extragenitale al mento di una donna di 35 anni. Nel 1989 i patologi americani Frank James Kratochvil, Gerald Cioffi, Paul Auclair e Walton Rathbun descrissero la papulosi bowenoide del cavo orale in un ragazzo di 21 anni. In seguito sono stati pubblicati casi di papulosi bowenoide localizzate al collo, al gomito, all’addome e al dito. Nel 2004 la Società Internazionale delle malattie vulvovaginali suddivise la VIN in due gruppi: VIN differenziata e VIN indifferenziata, e in questo secondo gruppo rientrava anche la papulosi bowenoide. Nel 2014 i dermatologi coreani Hyo Jin Lee, Dong Hoon Shin, Jong Soo Choi e Ki-Hong Kim riportarono un caso di papulosi bowenoide del capezzolo in una donna di 32 anni. Nel 2019 i ricercatori spagnoli Francisco Allegue, Daniel Gonzalez Vilas e Ander Zulaica descrissero la papulosi bowenoide lineare del solco balanoprepuziale in un paziente di 46 anni. Nella Storia della dermatologia la papulosi bowenoide è stata descritta con diversi altri sinonimi tra cui papule pigmentate del pene, displasia bowenoide dei genitali, malattia di Bowen pigmentata multicentrica di Lloyd, neoplasia intraepiteliale, papule eritemato pigmentate, papule eritemato macerate, displasia squamosa, atipia bowenoide genitale e papulosi peniena pigmentata. Nell’ultima edizione deIla classificazione dei tumori dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il termine clinico di papulosi bowenoide genitale del pene o della vulva è stato sostituito dal termine istopatologico di lesione intraepiteliale squamosa di alto grado (HSIL = High grade Squamous Intraepithelial Lesion). Nell’attuale sistema di classificazione internazionale delle malattie ICD 11 la papulosi bowenoide genitale maschile e femminile è catalogata insieme ai condilomi acuminati con il codice 1A95.1.

Differenza tra condilomi e papulosi bowenoide

Terapia

La papulosi bowenoide va curata in quanto la sua regressione spontanea è un evento possibile ma non molto frequente. Tra le metodiche fisiche utilizzate per la terapia della papulosi bowenoide rientrano la crioterapia con azoto liquido, il curettage, la diatermocoagluazione, il laser, la terapia fotodinamica e l’asportazione chirurgica. Tra i rimedi chimici impiegati in letteratura nella cura della papulosi bowenoide rientrano l’imiquimod, le sinecatechine del thè verde, la podofillotossina, il tazarotene, il 5-fluorouracile e l’interferone. La papulosi bowenoide va trattata sia per la sua evoluzione, sebbene rara, in carcinoma squamocellulare, sia perché può manifestarsi in distretti cutanei che non possono essere protetti dal profilattico (come ad esempio il pube) così da evitare che possa essere trasmessa al partner.