LEUCOPLACHIA
SALERNO
Come si presenta la leucoplachia?
La leucoplachia è un ispessimento della mucosa orale e si presenta con una placca bianca circoscritta, persistente, anelastica e non eliminabile con lo strofinamento meccanico. Talora può manifestarsi anche in altri distretti cutaneo-mucosi come l’area anale e quella genitale. Il tipico colore bianco perlaceo delle placche è dovuto all’ispessimento dell’epitelio. Tale ispessimento può presentarsi in qualsiasi distretto del cavo orale (es. labbra, parte interna delle guance, lingua, palato, gengiva). La leucoplachia o leucoplasia è un po’ più frequente nei maschi, soprattutto se fumatori e con più di 40 anni. È indicata con il codice DA01 nel sistema di classificazione internazionale delle malattie ICD-11.
Sintomi
A parte l’ispessimento bianco perlaceo delle mucose la leucoplachia decorre solitamente in assenza di sintomi. Le placche sono indolenti e alla palpazione appaiono indurite, ruvide e anelastiche. Per le placche di leucoplachia localizzate nei distretti meno cheratinizzati (es. trigono retromolare, palato molle, pavimento del cavo orale) è stato descritto un maggior rischio di displasia e degenerazione. Anche per la leucoplachia della lingua, le aree meno cheratinizzate (es. superficie inferiore) risultano maggiormente associate a un rischio di displasia.
Cause di leucoplachia orale, anale e genitale
Tra le cause di leucoplachia vi sono diversi fattori tra cui il fumo di tabacco, l’abuso di alcol, e la presenza di spine irritative croniche (es. malocclusioni, denti taglienti, otturazioni debordanti, apparecchiature odontoiatriche instabili o con bordi taglienti). La leucoplachia è considerata una precancerosi nel senso che la presenza di un fenomeno irritativo cronico può nel tempo predisporre a fenomeni degenerativi (per esempio carcinoma). Nella patogenesi della leucoplachia sono state riportate mutazioni del gene p53 e un upregulation dei recettori vanilloidi TRPV1. La leucoplachia può manifestarsi anche ai genitali esterni (es. glande, prepuzio, vulva) e alla regione anale.
Leucoplachia e infezione da HPV
La leucoplachia proliferativa villosa sembra essere associata alla presenza del papillomavirus HPV 16 e HPV 18 e a un maggior rischio di degenerazione in carcinoma del cavo orale. Essa non va confusa con la leucoplachia capelluta (Oral Hairy Leukoplakia) associata alla presenza del virus Epstein Barr, riscontrabile soprattutto nei pazienti immunodepressi (es. farmaci immunosoppressori, infezione da HIV, etc) e solitamente non associata a fenomeni degenerativi. Alcune chiazze di leucoplachia possono talora presentare un’alterazione del microbioma cutaneo con un aumento relativo di alcuni microrganismi (es. Candida albicans), coinvolti nel peggioramento del quadro clinico. Attualmente si tende a non utilizzare più il termine leucoplachia da Candida in quanto la candidosi è soprattutto la conseguenza della leucoplachia e non la causa, sebbene la produzione di cataboliti tossici derivanti dal diverso microbioma (es. nitrosamine) potrebbe favorire tale fenomeno.
Biopsia ed esame istologico
L’esame bioptico consente di distinguere una leucoplachia da altre manifestazioni cliniche apparentemente simili. Il colore bianco perlaceo della leucoplachia è legato all’ispessimento ordinato del solo epitelio, mentre la presenza di aree eritematose o atrofiche può essere indice di attività (es. eritroplasia). Per evidenziare le aree maggiormente ispessite qualche volta si può ricorrere all’applicazione temporanea di coloranti (es. blu di toluidina, soluzioni iodate, etc). All’esame istologico la placca di leucoplachia può presentare diversi gradi di infiammazione, con ipercheratosi (ortocheratosi, paracheratosi), acantosi, presenza di melanina, e fenomeni di displasia epiteliale. Nel tessuto epiteliale si può riscontrare tessuto infiammatorio costituito da linfociti e macrofagi. La presenza di fenomeni displastici sembra essere un po’ più frequente nelle placche disomogenee di vecchia data e in quelle di con superficie maggiore di 200 mm3. Nell’eritroplasia invece le cellule epidermiche presentano una marcata atipia e il colore rossastro è legato a un ricco infiltrato dermico con iperemia da ectasie vascolari.
Storia della leucoplachia
Il termine leucoplachia (dal greco λευκός = bianco; πλάξ = placca) fu introdotto nel 1877 dal dermatologo ungherese Ernő Schwimmer per distinguerla dalla psoriasi del cavo orale. Già nel 1851 il patologo inglese James Paget introdusse il termine leucocheratosi e nove anni dopo descrisse la prima associazione a livello linguale tra placche bianche persistenti e carcinoma. Importanti studi sulla leucoplachia orale furono condotti nel 1883 dal dermatologo francese Jean Baptiste Émile Vidal. Nel 1885 il chirurgo inglese Henry Trentham Butlin utilizzò il termine leukoma per indicare la leucoplachia. Nel 1892 il dermatologo francese Léon Perrin descrisse per la prima volta la leucoplasia genitale in un paziente di 49 anni con una leucoplachia a carico del prepuzio e riportò questo caso clinico in un articolo intitolato: Postite cronica di aspetto leucoplasico. Nel 1897 l’autore pubblicò insieme al dermatologo francese Laurent Victor Louis Émile Leredde un nuovo articolo con casi clinici di leucoplachia a carico del glande e del prepuzio, introducendo per la prima volta il concetto di abalanopostite cronica leucoplasica. Nel 1910 il dermatologo tedesco Eugen Emanuel Galewsky presentò 6 casi di leucocheratosi del glande e del prepuzio sottolineando la difficoltà nel distinguere in questo distretto corporeo un lichen sclerosus genitale da una leucoplachia, se non per il fatto che nel lichen prevale l’atrofia cutanea mentre nella leucoplachia può esservi anche ipertrofia. Nel 1925 il dermatologo ungherese Tibor Benedek propose il termine leucosclerocheratosi per quei quadri ambigui caratterizzati dalla presenza simultanea sia di atrofia che di ipertrofia. La leucoplachia anale e perianale fu descritta dal chirurgo americano Harry Bacon nel 1949. Nel 1985 gli odontostomatologi americani Louis Hansen, James Olson e Sol Silverman descrissero per la prima volta la leucoplachia proliferativa verrucosa. Nel 1988 il dermatologo greco George Laskaris descrisse il corno mucoso linguale, una formazione a carico della mucosa linguale che ricorda il corno cutaneo.
Tipi di leucoplachia
In base al quadro clinico la leucoplachia viene solitamente suddivisa in leucoplachia a placche omogenee, leucoplachia a placche non omogenee, e leucoplachia a placche non specificate. A seconda delle caratteristiche essa viene anche distinta in leucoplachia piana, verrucosa e fissurata. Sul piano istologico essa viene suddivisa in leucoplachia displastica e non displastica.
Diagnosi differenziale
Al momento della visita vanno ricercate ed escluse quelle situazioni apparentemente simili a una leucoplachia (es. candidosi pseudomembranosa, sifilide del cavo orale, lichen sclerosus genitale, nevo bianco spongioso, lichen planus, leucoedema, morsicatio buccarum, leucocheratosi nicotinica del palato, ustioni, carcinoma verrucoso, corno mucoso di Laskaris, etc). Sui genitali esterni un prurito particolarmente intenso e prolungato può talora innescare una tale reazione di lichenificazione da conferire ai distretti interessati un colorito biancastro, fenomeno noto in dermatologia genitale come pseudo leucoplachia di Lortat, con caratteristiche cliniche che possono talora simulare una vera e propria leucoplachia genitale. La biopsia della placca consente di ricercare la presenza di displasia. L’eritroplachia o eritroleucoplachia è una leucoplachia displastica e presenta con chiazze arrossate, a tratti ispessite e a tratti atrofiche ed erose, con un rischio di degenerazione più alto rispetto alla classica leucoplachia.
Terapia
La terapia della leucoplachia dovrebbe includere anche l’eliminazione delle possibili cause scatenanti, in modo da rendere possibile la regressione delle forme minime. Eliminazione di eventuali fattori di rischio come fumo e alcol rappresenta uno step importante. In assenza di displasia, per alcune placche minime o di recente insorgenza esiste la possibilità di regressione. Per le placche di grado medio e grave o di vecchia data, va presa in considerazione la possibilità di asportazione chirurgica delle aree interessate. Quando questa non è possibile si possono valutare altre opzioni terapeutiche (es. laserterapia, crioterapia, etc). In caso di sospetta leucoplachia è importante il lavoro di squadra tra dermatologo, odontostomatologo, chirurgo maxillo facciale, e otorinolaringoiatra. Per uso topico possono essere utilizzati alcuni analoghi della vitamina D (es. calcipotriolo), della vitamina A (es. retinoidi) e dei blandi cheratolitici (es. acido salicilico).