Eritema solare: colpo di sole, insolazione e scottature solari

a cura del dermatologo Dott. Del Sorbo
riceve a SALERNO

L’eritema solare è una reazione cutanea che si manifesta con rossore, prurito e bruciore, fino a scottature solari

L’eritema solare, noto anche come insolazione o colpo di sole, è la reazione della pelle che osserviamo quando questa viene esposta a una quantità eccessiva di raggi ultravioletti, in particolare quando la cute viene esposta all’ultravioletto corto (raggi UV-B con lunghezza d’onda compresa tra 280 e 315 nm) e alla frazione più corta dell’ultravioletto lungo (raggi UV-A2 con lunghezza d’onda compresa tra 315 e 340 nm). La predisposizione a sviluppare un eritema solare varia da persona a persona, a seconda del tipo di pelle (fototipo), della presenza di alcune malattie della pelle (fotosensibilità), del periodo dell’anno, dell’ora del giorno, di eventuali sostanze applicate sulla pelle, di eventuali farmaci assunti, e del tempo di esposizione al sole. La quantità di raggi ultravioletti in grado di produrre un eritema si chiama MED = minima dose eritematogena. Le persone con una MED alta tollerano bene l’esposizione al sole, sviluppano una buona abbronzatura e raramente si scottano. Viceversa, le persone con fototipo basso, cioè che si scottano facilmente e che si abbronzano con più difficoltà, hanno invece una MED bassa. In genere l’eritema solare si manifesta già a distanza di alcune ore dall’esposizione eccessiva al sole, e raggiunge il picco nell’arco delle 24 ore, per poi rientrare nel giro di qualche giorno. L’eritema solare si riconosce facilmente perché la cute diventa arrossata, edematosa, calda, pruriginosa e dolente unicamente nelle aree sovraesposte al sole, in netto contrasto con la cute circostante non eritematosa perché non esposta al sole, o protetta da ombra, da crema protettiva o da capi di abbigliamento.

Eritema solare caratterizzato da calore, rossore (foto in alto) desquamazione e prurito (foto in basso)

Eritema solare di primo grado e di secondo grado

L’eritema solare è attualmente la fotodermatosi più frequente e si manifesta sotto forma di rossore, calore, prurito, bruciore, dolore, edema, sensazione di punture di spilli (parestesie cutanee) e ipersensibilità della pelle, con un abbassamento della soglia del dolore che rende poco sopportabile i vestiti, e talora persino l’applicazione delle creme. Le aree maggiormente interessate da eritema solare sono quelle più fotoesposte, cioè il viso, il tronco e gli arti. Nelle persone con eritema solare la pelle diventa di un colore rosso scarlatto, e nel giro di 2-3 giorni, man mano che l’eritema scompare, si può manifestare una certa esfoliazione (cosiddetta spellatura) e pigmentazione cutanea (cosiddetta abbronzatura). I raggi ultravioletti del sole (in particolare la frazione eritemigena UVB e UVA2) abbassano la soglia del dolore sia attraverso la liberazione di sostanze algogene (per esempio prostaglandine e sostanza P) sia agendo direttamente sui recettori vanilloidi cutanei TRPV4, che nella pelle modulano la soglia del dolore. Quando esposta al sole, la pelle libera una serie di citochine proinfiammatorie e sostanze vasoattive (per esempio istamina, proteina C reattiva, interleuchina 1, interleuchina 6, interleuchina 8, interleuchina 12, αTNF, PAF, prostaglandine, sostanza P, ossido nitrico) responsabili sia del rossore e del dolore cutaneo, che della sensazione di malessere generale (per esempio brividi, febbre, cefalea, vomito) che si avverte nelle forme più intense di eritema solare. In questi casi si parla di vera e propria ustione solare, con comparsa di bolle ed esfoliazione cutanea. L’eritema solare di I grado è caratterizzato dalla presenza di rossore, bruciore e dolore, ma non da vescicole (ustione solare di 1° grado). Nelle esposizioni intense al sole o nelle persone con marcata fotosensibilità si può avere un eritema solare di II grado con formazione di vescicole o bolle (ustione solare di 2° grado). L’eritema solare rientra nel vasto gruppo delle fotodermatosi (dal greco φωτός = luce) cioè delle problematiche cutanee indotte o aggravate dall’esposizione al sole. Nel gruppo delle fotodermatosi rientrano tantissime malattie della pelle, comprese le reazioni fototossiche e fotoallergiche.

Oltre all’eritema solare esistono diverse altre fotodermatosi, come la dermatite fotoallergica e la dermatite fototossica

Esistono persone con allergia al sole o allergia ai raggi solari?

Questa domanda viene spesso posta al dermatologo al momento della visita medica. In realtà sotto il nome popolare di allergia al sole rientrano un vasto gruppo di malattie della pelle note come fotodermatosi, alcune delle quali sono scatenate dal sole, altre invece sono solo aggravate dall’esposizione ai raggi solari. Ma non si tratta quasi mai di vere e proprie reazioni allergiche al sole, a eccezione dei rari casi di dermatite fotoallergica da contatto, in cui il sole scatena un eczema da contatto sulle aree in cui è stata precedentemente applicata una sostanza fotosensibilizzante (per esempio un profumo, un cosmetico). L’eritema solare invece, spesso ricordato dai pazienti con il termine popolare di allergia al sole non è una reazione allergica in senso stretto. In genere l’eritema solare si sviluppa alle prime esposizioni al sole, cioè quando la pelle non ha ancora sviluppato le sue naturali difese nei confronti dei raggi ultravioletti (per esempio ispessimento dello strato corneo, adeguata produzione di melanina), mentre alle successive esposizioni la pelle diventa più resistente al sole, a eccezione delle persone molto chiare o con problemi di marcata fotosensibilità. Quando l’eritema solare si verifica unicamente sul bordo libero delle orecchie si parla di eruzione primaverile giovanile. Questa fotodermatosi si manifesta nei bambini e negli adolescenti con pomfi, vescicole e croste sull’elice che durano qualche settimana. Essendo più frequente nelle giornate fredde e soleggiate di primavera un tempo era nota come eruzione giovanile primaverile delle orecchie o herpes degli alpini. A volte l’eritema solare può manifestarsi nella regione perioculare sotto forma di dermatite palpebrale, e in questi casi può a volte associarsi a una congiuntivite attinica. Le persone che assumono farmaci fotosensibilizzanti possono sviluppare più facilmente un eritema solare, una dermatite fototossica o una dermatite fotoallergica. In presenza di eritema solare del viso occorre anche ricercare ed escludere eventuali dermatiti fotoaggravate come lupus eritematoso, erisipela e rosacea del viso.

Esempi di dermatosi fotoaggravate sono la rosacea (foto in alto) e il lupus eritematoso del volto (foto in basso)

Quanto dura un eritema solare?

L’eritema solare dura in genere qualche giorno. Se invece persiste esclusivamente al collo e al décolleté occorre pensare a un danno attinico cronico, come ad esempio si verifica nelle persone con eritromelanosi interfollicolare, nota anche come eritrosi del collo o pelle di gallina.

Eritromelanosi interfollicolare del collo e del décolleté (eritrosi solare)

Cause di eritema solare

L’eritema solare è causato dalla frazione eritematogena dei raggi ultravioletti del sole. Il sole emette continuamente un insieme di radiazioni elettromagnetiche di diversa lunghezza d’onda (spettro elettromagnetico). Molte di queste radiazioni vengono bloccate dall’atmosfera e non raggiungono il suolo. A causa dell’assorbimento atmosferico, al suolo lo spettro solare è fatto di radiazioni elettromagnetiche di lunghezza d’onda compresa tra i 290 nm (raggi ultravioletti UV-B) e i 3000 nm (raggi infrarossi IR-B). I raggi ultravioletti UV-B sono i principali responsabili di eritema solare con potere eritemigeno legato al fatto che si tratta di radiazioni altamente energetiche. Anche i raggi ultravioletti lunghi (UV-A) contribuiscono alla formazione di un eritema solare per almeno un 20%, soprattutto la frazione corta (UV-A2). I raggi ultravioletti corti (raggi UVB) sono i principali responsabili dell’eritema solare, ma vengono in gran parte neutralizzati dallo strato corneo dell’epidermide, mentre solo una minima parte di essi attraversa la membrana basale per raggiungere il derma papillare e creare eritema (vasodilatazione del microcircolo cutaneo presente nel derma papillare). I raggi ultravioletti lunghi (raggi UVA) raggiungono invece il derma profondo e favoriscono l’abbronzatura. Nelle ore centrali della giornata prevalgono i raggi ultravioletti UVB (eritema solare), mentre all’alba e al tramonto prevalgono i raggi ultravioletti UVA. Le radiazioni solari sono facilmente misurabili, ma l’occhio umano riesce a osservare solo una piccola parte della realtà (luce visibile con lunghezza d’onda compresa tra 400 nm e 780 nm), ma occorre ricordare che siamo continuamente immersi in un oceano di onde elettromagnetiche invisibili (onde radio, microonde, raggi infrarossi, raggi ultravioletti) che non vediamo, ma che esercitano grandi effetti sulla nostra vita quotidiana. Questo è il motivo per cui possiamo sviluppare un intenso eritema solare anche sotto l’ombrellone (raggi ultravioletti riflessi) e nelle giornate più nuvolose, fresche e ventilate (i raggi ultravioletti non sono visibili). Sia l’infrarosso lungo IR-C (radiazioni di lunghezza d’onda maggiore di 3000 nm) che l’ultravioletto corto UV-C (radiazioni di lunghezza d’onda minore di 280 nm) sono invece assorbiti dall’atmosfera e non raggiungono la nostra pelle.

Gli insetti vedono la luce ultravioletta e i volatili vedono gli infrarossi, ma l’occhio umano può osservare solo una piccolissima parte della realtà (luce visibile compresa tra 400 nm e 780 nm), mentre il resto che ci circonda è totalmente invisibile, seppur omnipresente, attivo e misurabile.

L’eritema solare e le cosiddette allergie al sole nella storia della dermatologia

Insieme all’acqua, il sole è da sempre fonte di Vita e benessere, e questo lo avevano ben compreso le prime civiltà, osservando l’azione benefica del sole prima sull’agricoltura e poi sulla salute. Il sole è stato adorato come divinità da tutte le culture (egizi, persiani, babilonesi, aztechi, greci, romani). Il medico greco Ippocrate di Kos prescriveva l’esposizione al sole (oggi nota come elioterapia) per ripristinare lo stato di salute fisica e mentale. Le virtù del sole erano ben note ai tempi della Scuola Medica Salernitana, così come erano noti gli effetti di un’eccessiva esposizione al sole. Nell’XI secolo d.C. la medichessa salernitana Trotula De Ruggiero scriveva nel suo trattato di cosmetica De ornatu mulierum (Trotula minor) che le donne salernitane preparavano un unguento per le scottature solari con un’oncia di radice di giglio domestico, due once di piombo bianco, mezza dracma di mastice e incenso, un pizzico di canfora, e un’oncia di grasso animale, disciolti in acqua di rose. Nel suo trattato Trotula spiegava in dettaglio come preparare questo unguento, che andava applicato la sera sia per la prevenzione dell’eritema solare che per il trattamento di eventuali scottature solari. Dopo Trotula diversi altri autori hanno descritto l’azione benefica del sole, con secoli di anticipo rispetto alla scoperta della natura fisica della luce solare. I primi studi sulla natura delle radiazioni emesse dal sole furono compiuti dal fisico inglese Isaac Newton, che nel 1666 iniziò a effettuare una lunga serie di esperimenti, grazie ai quali all’età di 24 anni riuscì a scomporre la luce solare in diverse componenti, oggi note come disco di Newton, ottenuto facendo passare la luce del sole attraverso un prisma triangolare di vetro. Newton compì questi studi da solo nella sua residenza di Woolsthorpe, in un periodo di quarantena volontaria a causa della grande peste di Londra. Il 19 febbraio 1671 Newton inviò una lettera di 13 pagine al teologo tedesco Henry Oldenburg, segretario della Royal Society di Londra, con la quale spiegò il fenomeno della dispersione della luce con la sua nuova teoria sulla luce e sui colori. Nel 1719 il medico tedesco Johannes Fridericus Borsch descrisse l’orticaria solare in una lunga dissertazione in latino di 40 pagine. Nel 1771 il medico italiano Francesco Frapolli descrisse la pellagra, una malattia che rende la pelle sensibile al sole. A quell’epoca la pellagra era endemica nel nord Italia e per questo veniva anche chiamata erisipela lombarda. Nel 1798 il dermatologo inglese Robert Willan coniò il termine eczema solare per descrivere una fotodermatosi oggi nota come dermatite polimorfa solare. Nel 1800 il fisico tedesco Frederick William Herschel scoprì i raggi infrarossi come responsabili della sensazione di calore che avvertiamo sulla pelle. Il 22 febbraio 1801 a Jena, in Germania, il fisico tedesco Johann Wilhelm Ritter scoprì invece i raggi ultravioletti, e li chiamò raggi ossidanti, perché pur essendo invisibili, facevano annerire in poco tempo il cloruro d’argento. Nel 1802 il fisico inglese William Hyde Wollaston utilizzò un prisma diverso da quello utilizzato in precedenza da Newton (prisma di Wollaston), concludendo che la luce solare non è composta da colori nettamente separati come nel disco di Newton, ma da uno spettro continuo fatto non solo da radiazioni luminose (rosso → arancione → giallo → verde → blu → indaco → violetto) ma anche da radiazioni elettromagnetiche non visibili dagli esseri umani (per esempio raggi infrarossi, raggi ultravioletti). Nel 1852 il medico tedesco Ernst Wilhelm von Brücke affermò che la pelle dei camaleonti diventava più scura quando esposta al sole a causa dello spostamento delle loro cellule pigmentarie verso la superficie cutanea, ipotizzando un coinvolgimento dell’apparato visivo. Nel 1857 il fisiologo francese Paul Bert affermò che la pigmentazione della pelle era invece un meccanismo locale e poteva verificarsi indipendentemente dal sistema visivo. Nel 1858 il neurologo francese Jean Martin Charcot suggerì che l’eritema solare fosse legato alle radiazioni elettromagnetiche “fredde”, come il violetto e l’ultravioletto, ma non alle radiazioni “calde” come ad esempio i raggi infrarossi. Nel 1860 il dermatologo francese Pierre Antoine Ernest Bazin descrisse l’hydroa vacciniforme, tra le dermatiti associate all’esposizione al sole e oggi note come fotodermatosi. Nel 1865 il fisico scozzese James Clerk Maxwell propose una teoria secondo la quale la luce fa parte di uno spettro più ampio di energia con proprietà ondulatorie, e chiamò questo fenomeno onde elettromagnetiche. Nel 1870 il dermatologo ungherese Moriz Kohn Kaposi descrisse un’altra fotodermatosi molto importante: lo xeroderma pigmentoso. Nel 1882 il fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz misurò con uno spettroscopio i raggi infrarossi, la luce visibile, e i raggi ultravioletti (nella foto). Nel 1877 i chimici inglesi Arthur Henry Downes e Thomas Porter Blunt dimostrarono l’azione battericida della luce del sole. Nel 1878 il patologo inglese Jonathan Hutchinson descrisse la prurigo aestivalis, e nel 1888 descrisse con il termine “sunblain” (pustola da sole) le manifestazioni cutanee in paziente con lupus eritematoso aggravato dall’esposizione al sole. Nel 1894 il dermatologo tedesco Paul Gerson Unna dimostrò la relazione tra esposizione al sole e invecchiamento cutaneo (cosiddetto fotoinvecchiamento o photoaging). L’anno successivo, sempre Unna dimostrò che era l’ultravioletto a causare l’abbronzatura. Nel 1900 il dermatologo svedese Magnus Möller scoprì che la luce solare provocava l’abbronzatura facendo aumentare sia lo spessore dello strato corneo che la produzione di melanina. Nello stesso anno il dermatologo danese Carl Emanuel Flemming Rasch descrisse la dermatite polimorfa solare. Nel 1902 l’astronomo americano Samuel Pierpont Langley dimostrò che l’atmosfera terrestre riduce di almeno il 40% la radiazione ultravioletta emessa dal sole. Nel 1921 i fisici francesi Maurice Paul Auguste Charles Fabry e Henri Buisson scoprirono che questo filtro naturale era un sottile strato di ozono presente nell’atmosfera, e che oggi chiamiamo ozonosfera. Nel 1907 il dermatologo francese William Auguste Dubreuilh descrisse la relazione tra esposizione al sole e tumori cutanei. Il 20 marzo 1923 i patologi americani Harry Goldblatt e Katharine Marjorie Soames dimostrarono che quando si espone la pelle al sole, il 7-deidrocolesterolo in essa contenuto viene attivato dai raggi ultravioletti per produrre vitamina D. Sempre nel 1923 il patologo americano William Waddell Duke descrisse l’orticaria solare. Nel 1926 il medico austriaco Moritz Oppenheim descrisse la fitofotodermatite (dermatosis bullosa striata pratensis) come la reazione fototossica della pelle al sole, dopo essere stata a contatto con una pianta o un suo derivato.

Fitofotodermatite dei giardinieri (foto in alto) e reazione fototossica dopo uso di disinfettante (foto in basso)

La prima protezione solare fu commercializzata negli USA nel 1928 ed era una crema a base di benzil salicilato, una sostanza naturalmente prodotta dalle piante e oggi poco utilizzata perché considerata poco efficace e un potenziale allergene. In precedenza erano già state utilizzate allo stesso scopo sia il balsamo del Canada che il solfato di chinino, ma paradossalmente avevano un’azione più fotosensibilizzante che fotoprotettiva. Nel 1932 il fisico americano William Weber Coblentz suddivise la radiazione ultravioletta in raggi UVA (con lunghezza d’onda compresa tra 315 nm e 400 nm), raggi UVB (con lunghezza d’onda compresa tra 280 nm e 315 nm) e raggi UVC (con lunghezza d’onda inferiore ai 280 nm). Nel 1952 il dermatologo argentino López González descrisse la prurigo solare o prurigo attinica. Nel 1956 il fisico tedesco Rudolf Schulze propose di testare il fattore di protezione delle creme solari presenti in commercio all’epoca, un controllo di qualità che oggi viene effettuato di routine. Nello stesso anno il matematico australiano Henry Oliver Lancaster descrisse la correlazione tra esposizione al sole e incidenza di melanoma. Nel 1969 i dermatologi inglesi Adrian Ive, Ian Magnus, Robert Warin e Wilson Jones descrissero il reticuloide attinico, una dermatite attinica cronica nota con diversi altri sinonimi, tra cui eczema fotosensibile e reazione persistente alla luce. Nel 1972 il dermatologo danese Niels Hjorth descrisse l’acne aestivalis di Majorca, una forma di acne che peggiora durante l’esposizione al sole. Nel 1978 il dermatologo indiano Tilak Bedi descrisse il lichen attinico come eruzione lichenoide attinica estiva. Nel 1985 il dermatologo americano Thomas Fitzpatrick individuò tra i raggi ultravioletti UVA, una frazione pigmentogena più lunga (raggi UVA1 con lunghezza d’onda compresa tra 340 e 400 nm) e una frazione eritemigena più corta (raggi UVA2 con lunghezza d’onda compresa tra 315 e 340 nm). Nel 1992 il dermatologo tedesco Jean Krutmann propose la fototerapia UVA1 per curare alcune forme di dermatite atopica severa. Negli ultimi anni sono state introdotte a scopo terapeutico sia sorgenti irradiative di luce visibile (per esempio nella terapia fotodinamica) che di raggi ultravioletti UVB1 (per esempio nella fototerapia UVB a banda stretta). In particolare la fototerapia UVB a banda stretta utilizza brevi esposizioni a raggi ultravioletti UVB1 con lunghezza d’onda compresa tra 311 e 313 nm. Nel corso della storia l’eritema solare è stato descritto con diversi nomi tra cui dermatite solare, eritema caloricum, eczema solare di Willan, fotoeritema, efelidi di Celso ed eritema attinico. Attualmente l’eritema solare è classificato con il codice EJ40 nel sistema internazionale ICD11 di classificazione delle malattie.

Immagini di dermatite polimorfa solare (foto in alto) e di fitofotodermatite di Oppenheim (foto in basso)

Prevenzione e terapia dell’eritema solare

L’eritema solare è un segnale palese attraverso il quale la pelle ci indica che stiamo valicando i nostri limiti biologici di resistenza al sole, superati i quali, le nostre strutture microscopiche più vulnerabili (per esempio il DNA, gli enzimi) sono maggiormente a rischio. Infatti l’eccessiva esposizione al sole può generare mutazioni del DNA e renderci più vulnerabili nei confronti di svariati problemi alla pelle, dal semplice eritema solare a situazioni più impegnative tra cui le reazioni fototossiche, le reazioni fotoallergiche, l’orticaria solare, la dermatite polimorfa solare, le cheratosi attiniche, il basalioma, il melanoma, lo spinalioma. Questo è uno dei motivo per cui al momento di controllare i nei il dermatologo chiede al paziente se ha mai avuto episodi di eritema solare. Il sole è fonte di vita, e svolge funzioni preziose per la nostra salute, ma come tutte le cose, occorre evitare gli eccessi.

Differenza tra lentigo comparse in seguito a eritema solare (foto in alto) e nevi melanocitici (foto in basso)

È possibile prevenire eritema solare e inutili scottature solari evitando di esporsi al sole nelle ore centrali della giornata, ricorrendo all’applicazione sulla pelle di creme ad alto fattore di protezione solare e all’uso del cappello per proteggere i capelli e il cuoio capelluto. Qualora si fosse già sviluppato un eritema solare è importante consultare il proprio medico per iniziare una terapia mirata sulla base dei sintomi generali e dell’intensità dell’eritema. Nelle forme lievi di eritema solare può essere sufficiente l’applicazione di una lozione doposole lenitiva, o di una crema steroidea per pochi giorni. Le creme lenitive non vanno applicate prima di esporsi al sole, ma al rientro a casa, altrimenti potrebbero diventare esse stesse dei potenziali agenti fotosensibilizzanti. Nelle forme gravi di eritema solare il medico può talora ricorrere a farmaci più importanti (per esempio antistaminici, cortisone, antinfiammatori non steroidei), da utilizzare limitatamente al periodo indicato sulla ricetta, evitandone ogni forma di automedicazione e di abuso, in quanto i farmaci sono preziosi strumenti di emergenza ma non sono privi di effetti indesiderati.