Eczema disidrosico delle mani e dei piedi

a cura del dermatologo Dott. Del Sorbo
riceve a SALERNO

L’eczema disidrosico si presenta con prurito alle mani e ai piedi

L’eczema disidrosico è una dermatite vescicolare di frequente osservazione in dermatologia ed è caratterizzato dalla presenza di prurito e di piccole papule o vescicole traslucide e recidivanti soprattutto alle dita di mani e piedi. Anche il palmo delle mani e la pianta dei piedi possono talora essere interessati da prurito e dermatite, mentre il prurito è più fastidioso ai lati delle dita. L’eczema disidrosico può manifestarsi in qualsiasi fascia d’età anche se è un po’ più frequente negli adulti. Si manifesta più spesso nei mesi estivi, nelle persone con dermatite atopica e negli individui con eccessiva sudorazione di mani e piedi, fenomeno noto come iperidrosi palmoplantare. Il grattamento delle piccole papule pruriginose ai lati delle dita le rendono per qualche minuto ancor più fastidiose e palpabili, anche se che con il tempo e con la terapia queste tendono gradualmente a rientrare. Il quadro clinico può variare da piccole vescicole traslucide ai lati delle dita delle mani, a un vero e proprio eczema disidrosico dell’intera pianta dei piedi, caratterizzato da rossore, ragadi, vescicole e talora persino vere e proprie bolle dolorose ripiene di liquido sieroso. Quando oltre alle dita è interessato l’intero palmo delle mani si parla di eczema disidrosico palmare acuto. Inizialmente possono essere presenti solo piccole vescicole, a malapena palpabili, in assenza di rossore, secchezza, o tagli ragadiformi. In questa fase di parla di semplice disidrosi o disdrosi simplex. Con il tempo possono manifestarsi anche rossore, piccoli taglietti dolorosi e desquamazione cutanea dando luogo a quella che un tempo era nota come disidrosi lamellosa secca e oggi nota come eczema disidrosico o disidrosiforme. Esistono anche forme di dermatite disidrosiforme non associate alla presenza di prurito, ma ugualmente fastidiose per la presenza di secchezza, ipersensibilità o irritazione cutanea. Alcune vescicole sierose possono talora superare i 10 millimetri di diametro, diventando vere e proprie bolle, e dando luogo a una variante clinica di eczema disidrosico chiamata disidrosi bollosa. Rispetto alle piccole vescicole, le bolle sono facilmente traumatizzate dallo sfregamento meccanico quotidiano, e a volte possono dar luogo a una vera e propria disidrosi bollosa emorragica. Quando le bolle sono particolarmente evidenti e persistenti può essere utile ricercare ed escludere la presenza di qualche rara variante eczematosa di pemfigoide bolloso.

Tra i sintomi di eczema disidrosico uno dei più fastidiosi è il prurito ai lati delle dita delle mani e talora persino dei piedi

Le cause di eczema disidrosico sono state attribuite nel tempo a svariati fattori

Nella storia della dermatologia tra le cause di eczema disidrosico sono stati presi in considerazione diversi fattori predisponenti. Nel 1864 il patologo inglese Sir Jonathan Hutchinson descrisse l’eczema disidrosico delle mani come cheiropompholyx. Per Hutchinson sia l’herpes che l’eczema disidrosico erano entrambe manifestazioni neurocutanee. In quegli anni la disidrosi veniva chiamata genericamente pompholyx (dal greco vescicole), e si parlava di cheiropompholyx per indicare l’eczema disidrosico delle mani (dal greco χειρός = mani), di podopompholyx per l’eczema disidrosico dei piedi (dal greco ποδός = piede), e di cheiropodopompholyx per l’eczema disidrosiforme localizzato sia alle mani che ai piedi. Il 27 marzo 1873 il dermatologo inglese William Tilbury Fox osservò questo stesso quadro clinico in una donna di 36 anni e lo chiamò disidrosi ipotizzandone un collegamento con le ghiandole sudoripare. Per Fox la disidrosi era legata all’accumulo di sudore all’interno dei follicoli della pelle, e le vescicole pruriginose erano dovute alla congestione di questi. Infatti propose il termine disidrosi per indicare un disordine localizzato della sudorazione. Fox sosteneva che i “follicoli” del sudore avessero un collegamento la disidrosi, un po’ come i follicoli sebacei sono associati all’acne, precisando che per lui la disidrosi fosse qualcosa di diverso sia dall’eczema che dalla sudamina. In quegli anni anche altri autori osservarono la dilatazione del dotto delle ghiandole sudoripare al suo ingresso nello strato spinoso dell’epidermide, e attribuirono la formazione delle vescicole pruriginose all’ostruzione del flusso di sudore. Nel 1891 il dermatologo turco Djelaleddin Moukhtar descrisse per la prima volta la tinea pedis, e l’anno successivo ipotizzò anche per la disidrosi un’origine infettiva, attribuendo le cause dell’eczema disidrosico a un’infezione da miceti. Infatti descrisse il quadro clinico della disidrosi come tricofizia localizzata esclusivamente al palmo delle mani, caratterizzata da squame, vescicole e pustole pruriginose. Nel 1910 anche il dermatologo francese Raymond Jacques Adrien Sabouraud confermò per la malattia di Moukhtar un’infezione da dermatofiti (anche se le due cose possono non essere correlate, anche oggi in alcuni pazienti atopici, non è raro osservare la presenza sia di tigna che di eczema disidrosiforme). Nel 1923 il dermatologo ungherese Georg Rajka isolò dei piococchi all’interno delle vescicole introducendo il concetto di disidrosi batterica. Nel 1928 sempre Rajka riuscì a isolare anche dei miceti, così da descrivere due varianti cliniche di eczema disidrosico, una associata alla presenza di miceti e l’altra associata alla presenza di batteri. Il primo a considerare le vescicole della disidrosi come un vero e proprio eczema fu il dermatologo inglese Arnold Williams Winkelried. Che si tratti di una variante clinica di eczema è oggi confermato dal riscontro mediante microscopia delle caratteristiche tipiche degli altri eczemi come edema, spongiosi e infiltrati linfocitici attorno ai piccoli vasi del derma, osservabili in diverse altre dermatiti (per esempio pitiriasi rosea di Gibert, eczema nummulare). Infatti Nel 1929 il dermatologo polacco Roman Leszczyński suggerì che l’iperattività delle ghiandole sudoripare nelle persone con eczema disidrosico delle mani fosse sotto il controllo del sistema nervoso autonomo. Nel 1930 il dermatologo americano Lehmann confermò un’aumentata attività del sistema nervoso ortosimpatico. Nel 1932 il dermatologo tedesco Julius Karl Mayr ipotizzò che il sudore stesso potesse agire da antigene eczematogeno in alcune persone sensibili al proprio sudore. Nel 1934 il dermatologo israeliano Isaac Muende escluse qualsiasi forma di infezione microbica in quanto sia i miceti che i batteri riscontrati sulle aree di eczema disidrosico erano ubiquitari nell’ambiente e normalmente presenti anche sulla cute sana, anticipando un po’ il concetto attuale di micobiota della pelle (insieme dei miceti normalmente presenti sulla pelle) e più in generale di microbiota cutaneo (insieme dei microbi normalmente presenti sulla cute sana). Successivamente tra le possibili cause di eczema disidrosico sono state escluse sia le infezioni sia l’ostruzione dei dotti delle ghiandole sudoripare eccrine. Infatti all’esame istologico i dotti sudorali appaiono solo lievemente deformati ma non ostruiti. Le infezioni microbiche riscontrate in passato erano la conseguenza e non la causa dell’eczema disidrosico. Il grattamento continuo può infatti esporre a fenomeni di lichenificazione o a impetigine secondaria. Per descrivere la disidrosi, nella storia della medicina sono stati utilizzati diversi sinonimi, tra cui pompholyx, eczema disidrosiforme, dermatite vescicolare, eczema disidrosico ed eczema vescicolare. Attualmente l’eczema disidrosico è classificato all’interno del sistema ICD-11 (International Classification of Diseases) con il codice EA85.0 sotto la voce di eczema vescicolare di mani e piedi.

Si parla di disidrosi in presenza di iperidrosi, vescicole o bolle pruriginose (foto in alto) e di vero e proprio eczema disidrosico quando la pelle è più secca e desquamata (foto in basso)

La diagnosi di eczema disidrosico è essenzialmente clinica

Al momento della visita medica il dermatologo distingue facilmente una disidrosi da altre malattie della pelle apparentemente simili (per esempio scabbia, psoriasi pustolosa delle mani, acropustolosi infantile di Gianotti Crosti, acrodermatite continua di Hallopeau, herpes simplex). L’aspetto stagionale e recidivante dei segni e dei sintomi è tipico di questa forma di eczema. A differenza della disidrosi, l’herpes simplex si localizza solitamente a un solo dito. Le vescicole perlacee della scabbia si associano invece ad altri segni (per esempio i tipici cunicoli visibili alla ricerca acaro mediante entomoscopia a epiluminescenza) e diventano contagiose nel giro di pochi giorni. I patch test possono essere talora utili per ricercare ed escludere un eventuale eczema allergico da contatto. Il dosaggio delle IgE totali (PRIST) può essere utile per ricercare un eventuale terreno atopico. In presenza di eczema disidrosico localizzato ai piedi può essere utile un esame microscopico miceti per escludere un piede d’atleta. In alcune persone l’eczema disidrosico dei piedi può talora associarsi ad altre problematiche cutanee della pianta dei piedi tra cui la cheratolisi puntata e la dermatosi plantare giovanile.

Immagini di eczema disidrosico alle mani nella variante papulosa (foto in alto) e impetiginizzata (foto in basso)

La terapia dell’eczema disidrosico dipende anche dal quadro clinico del paziente

La terapia per la cura dell’eczema disidrosico può variare a seconda del quadro clinico (vescicolare, essudativo, secco, lichenificato, fissurato, impetiginizzato). Al momento della visita dermatologica a seconda del quadro clinico possono essere presi in considerazione sia prodotti per uso topico (per esempio idratanti, emollienti, lenitivi, creme barriera, creme riparatrici, steroidi, antibiotici, inibitori delle calcineurine) che farmaci per uso sistemico (per esempio brevi cicli di antistaminici o cortisonici), limitatamente al periodo indicato dal proprio dermatologo di riferimento. In dermatologia sperimentale sono allo studio farmaci topici ad azione anticolinergica attivi sull’iperidrosi (per esempio bromuro di sofpironio in gel al 5%, bromuro di glicopirronio in gel all’1%). Alcune di queste molecole sono sintetizzate a partire da metaboliti inattivi, e in tal caso si parla di farmaci retrometabolici. Eventuali rischi e benefici di qualsiasi opzione terapeutica (inclusi fototerapia con raggi UVA, immunomodulatori, retinoidi, farmaci biotecnologici a base di anticorpi monoclonali) vanno valutati al momento della visita medica presso il proprio dermatologo, in particolare nei pazienti resistenti ai trattamenti con i farmaci tradizionali.