Dermatologo Dott. Del Sorbo

Prurito acquagenico e «allergia» all’acqua

a cura del Dermatologo Dott. Del Sorbo
SALERNO
PRURITO ACQUAGENICO, ORTICARIA ACQUAGENICA E ACQUADINIA HANNO MOLTI PUNTI IN COMUNE
Il prurito acquagenico e le altre forme di iperreattività cutanea all’acqua, sono caratterizzate da una risposta eccessiva della cute, nei confronti di una sostanza normalmente non pruritogena, non urticariogena e non algogena, qual è l’acqua. Prurito, formicolio, punture di spilli, pomfi e bruciore, sono fenomeni mediati da peptidi vasoattivi di origine mastocitaria, attualmente ritenuti importanti neurotrasmettitori cutanei, in grado di modulare la soglia del prurito, dei pomfi e del bruciore, mediante i recettori vanilloidi presenti sulla superficie dei mastociti e delle piccole fibre nervose dermoepidermiche. Queste tre varianti cliniche, quasi sempre riportate dal paziente come intolleranza o “allergia all’acqua”, possono essere considerate vere e proprie neuropatie delle piccole terminazioni nervose dermoepidermiche, rientrando nel vasto gruppo delle cosiddette allodinie, insieme alla sindrome della bocca urente, la vulvodinia, l’anodinia, la penodinia, la notalgia parestesica, la nevralgia posterpetica, la tricodinia, il lichen simplex, l’eritromelalgia di Mitchell e la sindrome della cute dolente (skinache), recentemente descritta dal medico norvegese Carl Fredrik Bassøe.

NEL PRURITO ACQUAGENICO SI HA A VOLTE LA SENSAZIONE DI TANTE PUNTURE DI SPILLI

Il prurito acquagenico o aquagenic pruritus si presenta con un’intensa reazione pruriginosa nelle aree a contatto con l’acqua e contrariamente all’orticaria acquagenica, non si accompagna a manifestazioni cliniche evidenti. Il paziente può avvertire oltre al forte desiderio di grattarsi per il prurito impellente, anche una fastidiosa sensazione descritta come punture di spillo o come aghi nella la pelle, simile al formicolio provocato da un insetto che cammina sotto la pelle. La sensazione di punture di spillo sulla pelle, fu descritta accuratamente nel 1922 dal dermatologo americano Noxon Toomey, che la denominò puncta pruritica (itchy points). In alcuni casi, il grattamento cronico può provocare lesioni da grattamento e ispessimento cutaneo (lichenificazione).

immagini di prurito acquagenico con sensazione di punture di spilli
Il prurito acquagenico si verifica soprattutto agli arti e si può associare a un formicolio simile a punture di spillo

Nelle forme minime di prurito acquagenico, alcuni antistaminici multitarget possono in parte ridurre l’entità del prurito, mentre la sensazione di punture di spilli, solitamente resiste agli steroidi e agli antistaminici tradizionali. Le sedi maggiormente interessate dal prurito acquagenico sono gli arti superiori e inferiori (in particolare le gambe, tra caviglia e polpaccio), ma possono talora essere interessati anche altri distretti corporei, specie dopo la doccia o un bagno, anche se effettuati con detergenti delicati e ipoallergenici. Persino il sudore può scatenare un prurito acquagenico e in caso di comparsa di pomfi, va considerata anche la possibilità di un’orticaria colinergica di Duke o di un’orticaria acquagenica di Shelley e Rawnsley. Il prurito acquagenico tende in alcuni casi a recidivare periodicamente, con un picco massimo alla fine dell’estate o nei mesi autunnali, senza correlazione apparente al contatto con l’acqua, che magari fino al giorno prima non aveva dato problemi. Alcuni pazienti riferiscono un prurito tanto forte da non farli dormire la notte e che a volte aumenta proprio nel momento in cui si desidera un po’ riposare. Le soluzioni fortemente ipertoniche (es. acqua di mare, soluzione glucosata, acqua e bicarbonato, etc) sono solitamente meno efficaci nell’induzione del prurito acquagenico, rispetto alla normale acqua di rubinetto e persino rispetto all’acqua distillata, ugualmente pruritogena. Il miglioramento temporaneo del prurito acquagenico dopo aver applicato creme a base di capsaicina, attira l’interesse della dermatologia sperimentale, sul possibile ruolo dei recettori vanilloidi cutanei (es. TRPV1, TRPV4, etc), nella regolazione della soglia di degranulazione dei mastociti. Lo scarso beneficio ottenuto con l’uso degli antistaminici tradizionali si spiega con il ruolo pruritogeno dei peptidi vasoattivi diversi dall’istamina (es. VIP, sostanza P, PAF, acetilcolina, serotonina, leucotrieni, prostaglandine, TNFα, histamine releasing factors, etc). Il prurito acquagenico viene la prima volta descritto il 20 giugno 1981 dai dermatologi inglesi Malcolm Greaves, Anne Kobza Black, Robin Eady e Angela Coutts. Un altro lavoro molto importante viene pubblicato nel 1985 dal dermatologo americano Howard Steinman e dal dermatologo inglese Malcolm Greaves. In alcuni casi, l’aggiunta in acqua di avena colloidale o di semplice bicarbonato di sodio (es: 150 gr nell’acqua della vasca da bagno), può lievemente ridurre il fastidio, anche se per un buon controllo della sintomatologia occorre quasi sempre ricorrere a un farmaco sistemico. Nel prurito acquagenico, la liberazione di istamina e di altri fattori vasoattivi, si verifica in maniera analoga a quanto avviene nell’orticaria acquagenica di Shelley e Rawnsley (comparsa di pomfi e prurito in seguito al contatto con l’acqua) e nell’acquadinia di Shelley e Shelley (allodinia caratterizzata dalla sensazione di bruciore della pelle a contatto con l’acqua). L’istamina e molti altri peptidi vasoattivi, sono molecole che oltre ad avere importanza in dermatologia allergologica, si comportano nella pelle come veri e propri neutrasmettitori, in grado di mediare sensazioni di prurito (prurito acquagenico), pomfi (orticaria acquagenica) o bruciore (acquadinia). Infatti prurito acquagenico, orticaria acquagenica e acquadinia, sono ritenuti espressione dello stesso fenomeno eziopatogenetico, in quanto prurito, pomfi e bruciore, sono mediate dagli stessi peptidi vasoattivi. Una visita dermatologica accurata, permetterà di confermare la diagnosi di prurito acquagenico e di escludere un’eventuale acquadinia o un’orticaria acquagenica. Il dermatologo prescriverà una cura topica e sistemica, spiegando al paziente che in questi casi è preferibile evitare le immersioni a mare e gli sport acquatici. Al momento della visita dermatologica, in base alla sintomatologia e a eventuali manifestazioni cliniche in atto, sarà programmato un checkup mirato alla ricerca di possibili cause sistemiche, dal momento che un prurito acquagenico è stato descritto in casi isolati, in associazione con altri fenomeni (per esempio ittiosi esfoliativa acquagenica, xantogranuloma giovanile, epatite C, crioglobulinemia, fibrosi cistica, assunzione di farmaci antimalarici, intolleranza al lattosio, ipereosinofilia, policitemia vera, vasculite leucocitoclasica, spinalioma metastatico, trombocitemia, emocromatosi, patologie ematologiche, etc). Contrariamente all’orticaria acquagenica in cui i sintomi si verificano pochi minuti dopo il contatto con acqua, il prurito acquagenico può manifestarsi anche a distanza dall’avvenuto contatto con acqua, specie nelle ore serali e di notte (momenti della giornata in cui la produzione circadiana di cortisolo è ai livelli minimi ed è massima quella di istamina). Meno frequentemente, alcuni pazienti riferiscono un riacutizzarsi della sintomatologia più o meno intorno alla stessa ora del giorno. Al momento della visita dermatologica dovranno essere escluse altre cause di prurito esogeno, come ad esempio alcune infestazioni da parassiti della pelle, come scabbia, pediculosi e dermatite del nuotatore. Per la guarigione dal prurito acquagenico possono trascorrere diversi mesi dalla comparsa dei primi sintomi.

ORTICARIA ACQUAGENICA DI SHELLEY E RAWNSLEY

L’orticaria acquagenica o aquagenic urticaria, è una rara variante di orticaria fisica caratterizzata dalla comparsa più o meno immediata di pomfi pruriginosi nelle aree di contatto con acqua o altri liquidi, a qualsiasi temperatura o concentrazione salina. Contrariamente all’orticaria da freddo, il contatto con ghiaccio solitamente non evoca una risposta orticarioide. L’orticaria acquagenica si presenta con intenso prurito e piccoli pomfi perifollicolari di pochi millimetri di diametro, già alcuni minuti dopo il contatto con acqua, che raggiungono il picco nei primi 30 minuti per regredire nel giro di qualche ora, dopo la quale si verifica un breve periodo di refrattarietà al fenomeno, sempre della durata di qualche ora, in cui il contatto con acqua non provoca pomfi né prurito (fenomeno dell’hardening). Nell’orticaria acquagenica, le regioni palmoplantari solitamente non sono interessate da pomfi e prurito. I livelli di IgE totali possono essere normali o aumentati. Sono stati osservati aumentati livelli tissutali di alcuni neurotrasmettitori (es. istamina, acetilcolina, etc) nei pomfi dei pazienti con orticaria acquagenica in atto, ma non nella cute non esposta all’acqua. Tutti i tipi di acqua (es. acqua piovana, acqua di mare, fiume, rubinetto, etc) possono scatenare un’orticaria acquagenica e persino il sudore. Se invece è soltanto il sudore a scatenare i pomfi, va considerata la possibilità di un’orticaria colinergica di Duke (nota anche come orticaria da sforzo), clinicamente molto simile all’orticaria acquagenica. Sul piano eziopatogenetico si attribuisce una certa importanza alla degranulazione mastocitaria indotta da una sostanza presente nella cute e solubile in acqua. Il test da contatto con acqua, rientra tra i comuni test orticaria fisica (TOF) e viene praticato applicando sulla pelle del dorso per 20 minuti una garza bagnata con acqua di rubinetto a temperatura corporea, per evitare falsi positivi dovuti a interferenza di eventuali altre orticarie fisiche (es. orticaria da freddo di Frank, orticaria da freddo ritardata di Soter, orticaria da caldo di Duke, etc).

foto di orticaria acquagenica con piccoli pomfi perifollicolari e prurito
Nell’orticaria acquagenica il contatto con acqua provoca la comparsa di pomfi e prurito

ACQUADINIA DI SHELLEY E SHELLEY

L’acquadinia o aquadynia è una sensazione di bruciore o dolore della pelle in seguito al contatto con acqua. Il bruciore compare solitamente dai 10 ai 30 minuti dal contatto con acqua, colpisce solitamente gli arti (soprattutto le gambe) e tende a regredire entro un’ora. Mentre nell’orticaria acquagenica i pomfi sono ben evidenti, il paziente affetto da prurito acquagenico o da acquadinia (varianti cliniche in cui mancano all’esame obiettivo le tipiche manifestazioni pomfoidi dell’orticaria), si sente spesso imbarazzato nel dover descrivere sia ai medici che ai conviventi un fastidio i cui sintomi (prurito impellente, bruciore a tipo fuoco sulla pelle, sensazione puntoria come da aghi, etc) non corrispondono ad altrettante manifestazioni cutanee, se non a lesioni secondarie al grattamento cronico metodico. L’acquadinia è stata descritta da poco più di un decennio e prima di allora si tendeva a etichettare questo fastidiosissmo fenomeno come semplice dermatite da stress, data l’assenza di manifestazioni cutanee visibili all’esame obiettivo. Attualmente in dermatologia sperimentale vi è un interesse crescente nello studio dei meccanismi patogenetici alla base dell’acquadinia, soprattutto dopo la recente scoperta dei recettori vanilloidi cutanei. L’acquadinia è considerata più che una semplice complicanza del prurito acquagenico, una variante clinica di esso, caratterizzata da una diversa modalità di risposta della pelle all’acqua e una diversa soglia di attivazione del complesso pathway prurito/bruciore.

immagini di acquadinia e di altre forme di allergia all’acqua
Nell’acquadinia, il paziente lamenta un bruciore fortissimo alla pelle dopo il contatto con acqua

L’ALLERGIA ALL’ACQUA NELLA STORIA DELLA DERMATOLOGIA

L’orticaria acquagenica viene descritta la prima volta il 21 settembre 1964 dai dermatologi americani Walter Brown Shelley e Howard Rawnsley. I due autori, ne attribuiscono le cause, alla degranulazione dei mastociti cutanei indotta dal contatto tra l’acqua e la cute. Nel 1967, il dermatologo americano Theodore Tromovitch utilizza il nome di orticaria da contatto all’acqua per descrivere il caso di un’orticaria acquagenica in un fratello e una sorella. Gia nel 1938, il neuroscienziato americano Reginald George Bickford, aveva descritto il fenomeno dermatologico della allocnesi o alloknesi, inteso come prurito indotto da stimoli che normalmente non generano prurito. Nel 1974, il pediatra neozelandese Robert Elliot, descrive i pomfi della cheratodermia acquagenica transiente delle palme in un bambino affetto da fibrosi cistica. Nello stesso anno, il dermatologo tedesco Dietrich Lubach, utilizza il termine prurito acquagenico sine materia. Nel 1989, il dermatologo americano Jeffrey Bernhard, descrive il fenomeno della atmocnesi o atmoknesi, una forma di prurito che inizia puntualmente dopo essersi svestiti, soprattutto nelle ore serali. Il 29 marzo 1994, il medico americano Dror Wasserman e i colleghi israeliani Aviya Preminger e Abraham Zlotogorski, pubblicano un caso di orticaria acquagenica in un bambino di 3 anni. Il primo ottobre 1992 il dermatologo egiziano Mohamed Badawy Abdel Naser e i dermatologi tedeschi Harald Gollnick e Constantin Orfanos, riportano un caso di prurito acquagenico da contatto con acqua calda, in una paziente affetta da policitemia vera. Il 4 ottobre 2002, i dermatologi Regina Treudler, Beate Tebbe, Matthias Steinhoff e Constantin Orfanos, riportano il primo caso di orticaria acquagenica familiare associata a un’intolleranza ereditaria al lattosio. Il 28 maggio 2004, i dermatologi spagnoli Gerard Pitarch, Arantxa Torrijos, Teresa Martínez Menchòn, José Luis Sànchez Carazo e José Fortea, riportano un caso di orticaria acquagenica familiare in associazione alla sindrome di Bernard Soulier (rara piastrinopatia descritta la prima volta nel 1948 dagli ematologi francesi Jean Bernard e Jean Pierre Soulier). Nel 1997, i dermatologi francesi Laurent Misery, Jean Marie Bonnetblanc, Véronique Staniek, Alain Gaudillère, Daniell Schmitt e Alan Claudy, pubblicano un importante lavoro sul dolore localizzato alle aree cutanee a contatto con i liquidi. Nel 1998 i dermatologi americani Walter Brown Shelley e Dorinda Shelley introducono per la prima volta il termine aquadynia, per descrivere il caso clinico di una donna anziana affetta da fortissimo bruciore sulla pelle a contatto con l’acqua (water pain o bath pain). Il bruciore era indipendente dalla temperatura dell’acqua ed era resistente ai comuni antistaminici. L’esame bioptico e i comuni esami ematochimici risultavano essere nella norma. Nel 2003 i colleghi francesi Laurent Misery, David Meyronet e Frédéric Cambazard, pubblicano un interessante lavoro sul possibile ruolo del peptide intestinale vasoattivo (importante neurotrasmettitore cutaneo noto anche come VIP) nell’eziopatogenesi dell’acquadinia. Nel 2004, i neurologi americani Nicole Alessandri Haber, Elizabeth Joseph, Olayinka Dina, Wolfgang Liedtke e Jon Levine, sottolineano l’importanza dei recettori vanilloidi TRPV4, nella modulazione del dolore neuropatico indotto da soluzioni saline, in presenza di sostanze proinfiammatorie tissutali. Nello stesso anno, i ricercatori Francesca Brindani, Franco Gemignani, Lucia Zinno e Adriana Marbini del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università degli Studi di Parma, osservano nei pazienti affetti da acquadinia, alterazioni del quantitative sensory testing (metodica strumentale impiegata nel monitoraggio delle allodinie, per quantificare il dolore evocato da stimoli normalmente non algogeni), inquadrando l’acquadinia tra le neuropatie delle piccole fibre sensitive. Il miglioramento della sintomatologia con capsacinoidi per uso topico potrebbe spiegare il possibile coinvolgimento del sistema vanilloide cutaneo nella determinazione della soglia del dolore, nei confronti di uno stimolo normalmente non algogeno come l’acqua.